Il nostro sistema economico e produttivo è in crisi: di certo non è per mancanza di creatività, come testimonia la scritta a caratteri cubitali su uno dei lati del Palazzo della Civiltà Italiana. Quando nel lontano 1938 iniziavano i lavori di costruzione del monumento, anche noto come il Palazzo della Civiltà del Lavoro o Colosseo Quadrato, l’American Marketing Association riceveva dal Census Bureau la richiesta di partecipare ai lavori per giungere a una definizione unificata del Marketing. Mentre i nostri nonni discutevano al bar su cosa mai potesse significare, in concreto, essere dei “TRASMIGRATORI”, gli Stati Uniti avevano messo a punto una macchina produttiva che avrebbe imposto i propri prodotti al mondo. Gli americani studiavano i segreti del mercato e del business, noi invece gonfiavamo il petto come tacchini, tronfi d’imperiale orgoglio per le radici millenarie della nostra cultura. Un anno dopo c’è stata la guerra e, si sa, in guerra non vincono i più colti ma la capacità produttiva dell’industria bellica, i capitali disponibili, la logistica, la strategia… Nonostante i bombardamenti, le città devastate e le nostre poche ma pregiate industrie ridotte ai minimi termini o rase al suolo, l’Italia affamata, stracciona e semianalfabeta del Neorealismo si è rapidamente evoluta ed è cresciuta, fino a diventare nel 1987 la quinta nazione più ricca dell’Occidente, con un incremento registrato del PIL intorno al 18%. All’epoca, il giornale inglese The Economist protestò che i nostri bilanci erano stati dopati da un «gioco di prestigio statistico», e forse sarà stato anche vero, alla luce dell’inveterata propensione all’imbroglio nella quale i nostri politici hanno sempre eccelso; comunque, sesti o quinti che fossimo ha poca importanza: ce la siamo cavata più che bene per parecchi decenni e il “miracolo” è continuato fino all’inizio degli anni novanta, quando l’Italia arrivò a conquistare il quarto posto nella classifica dei Paesi più ricchi dell’occidente. Dunque, al netto di retoriche rivendicazioni, non siamo solo un popolo di artisti, scienziati e navigatori, ma anche d’imprenditori, quando le condizioni ce lo consentono. Le condizioni, appunto, quel sistema di variabili sociali, mercantili, economiche, finanziarie e di politica fiscale che, anche grazie alle dinamiche di consumo sostenute all’inizio dal bilancio statale, hanno creato quello che il mondo ha stigmatizzato come “il miracolo economico italiano”. La nostra parabola di crescita, iniziata da grandi imprenditori del pubblico e del privato come Enrico Mattei e Adriano Olivetti, giusto per citare le due figure che meglio ci sembra rappresentino il mondo imprenditoriale italiano di quegli anni, è stata interrotta da due eventi che si sono rivelati tragici per la nostra economia: l’ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization), che ha di fatto aperto i mercati alla globalizzazione e l’Euro, espressione degli appetiti finanziari di un’Europa nata senza la maturazione politica e il consenso consapevole degli Europei. Se, per una mano, siamo stati favoriti dall’aver goduto di un basso costo del denaro con cui finanziare l’enorme debito sovrano, per l’altra, ci ha impedito di ricorrere alla leva competitiva dell’inflazione.

Forse dovremmo porci qualche domanda: se l’ingegno e la creatività non mancano, come mai fatichiamo a riprenderci da questo difficile momento? Sarà forse perché queste nostre competenze distintive non riescono più a contrastare l’invasione dei prodotti a basso costo e la contraffazione del vero “Made in Italy”? Cosa dovremmo fare per valorizzare e vendere al mondo il patrimonio turistico, il design, i prodotti dell’agroalimentare ed enogastronomici, che pure continuano a funzionare nelle isole di eccellenza? Cos’è che c’impedisce di qualificarci anche come un popolo d’imprenditori? Se i conti non tornano, sarà forse perché dobbiamo cambiare il modo con cui farli, oppure perché l’insieme di tutte queste ipotesi ci hanno fatto tornare alle condizioni del dopoguerra, in una situazione in cui, oggi come allora, nessuno scommetterebbe su di noi? Difficile rispondere a queste domande, ma dobbiamo provare a farlo se non vogliamo tornare a “rubare biciclette” per sopravvivere. Se le condizioni che ci avevano fatto prosperare creando quel miracolo sono mutate, allora è arrivato il momento di ripensare il nostro modo di fare impresa, rimboccarci le maniche e cercare nuovi presupposti che consentano di recuperare le posizioni perdute. Considerata la singolarità del nostro sistema produttivo, l’innovazione dovrà partire dal basso, da quelle aziende di piccole e medie dimensioni il cui stretto contatto col territorio è il valore aggiunto delle eccellenze manifatturiere e agroalimentari che il mondo c’invidia; tanto più che il cambiamento necessario è  culturale, quindi davvero alla portata di tutti coloro che non vogliono rassegnarsi al declino. Gli strumenti per acquisire maggiore competitività esistono da mezzo secolo,  ma finora sono stati impiegati solo dalle grandi realtà impreditoriali: vuoi perché non se ne conoscono le potenzialità e i costi (e quello che non si conosce, si sa, intimorisce), vuoi perché si è sempre ritenuto (sbagliando) che un cambio di rotta comporti più rischi che benefici.

Pianificazione di Marketing e Controllo di Gestione sono le due metodiche che generano il cambiamento e oggi, in un mercato fortemente competitivo, diventano fondamentali per le nostre imprese. Tutti gli imprenditori, in qualche modo, dopo aver deciso gli obiettivi li traducono in attività operative, definiscono il percorso da intraprendere per raggiungere i risultati voluti e periodicamente cercano di capire se gli sforzi vanno nella giusta direzione. Il problema sta nel fatto che spesso le verifiche si riducono a dei processi mentali non suffragati da numeri e osservazioni: elaborazioni parziali e discutibili che, nella maggior parte dei casi, si limitano a un dialogo tra chi ha stabilito gli obiettivi e qualche interlocutore subordinato. Quello che può sembrare un esercizio banale, e cioè mettere ogni cosa nero su bianco, diventa il fattore che a lungo andare fa la differenza.

Quante volte abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di fornirci delle previsioni di vendita ottenendo risposte vaghe, generiche e scarsamente attendibili?

Chi ha vissuto questo tipo di problematiche non avrà difficoltà a comprendere che pianificare l’attività e verificare il raggiungimento degli obiettivi sono funzioni strettamente correlate: dinamiche che animano il centro dell’attività impreditoriale, i processi decisonali di manager e imprenditori che risulteranno cruciali per il successo di qualsiasi tipo di business. Se fino a ieri queste metodiche richiedevano un notevole apporto di risorse umane dedicate, oggi l’evoluzione degli strumenti informatici ne consente l’accesso a tutte le aziende, e a costi sempre più contenuti. Della Pianificazione di Marketing abbiamo già parlato nell’articolo Cresci o muori: pianificare il marketing per crescere; il passo successivo è il Controllo di Gestione che consente di misurare il conseguimento degli obiettivi stabiliti, valutare l’andamento e le tendenze dei costi e dei ricavi. È quindi chiaro che, affinché il Controllo di Gestione possa esercitare la sua funzione di supporto alle dinamiche d’impresa, sarà necessario disporre almeno degli strumenti informativi e informatici di base per la produzione e condivisione delle infomazioni; quindi un flusso di dati preciso, costante e aggiornato: la risposta a questo bisogno possiamo trovarla nel progetto Happy Business.

Leggendo il titolo probabilmente a qualcuno sarà scappato un sorriso e si sarà chiesto: ma veramente il Business, quello che m’impegna giornalmente fra problemi da risolvere, decisioni da prendere presto e bene, estenuanti riunioni e lunghe telefonate, può essere (o diventare) Happy? La nostra risposta è sì: tutto dipende da come governiamo l’impresa e dalla soddisfazione che otteniamo nel constatare i progressi del nostro lavoro quotidiano. Happy Business è uno strumento che consente alle imprese di pianificare e gestire l’attività imprenditoriale mediante la conoscenza del Potenziale di Marketing dei prodotti, la definizione delle Strategie di Mercato, il controllo dei Costi e dei Ricavi, la gestione delle Relazioni con i clienti: tutto ciò di cui parlavamo e che, fino ad oggi, non era nella disponibilità delle Piccole e Medie Imprese. Happy Business da il nome a un progetto che prevede tre applicazioni gratuite, la prima delle quali, “il Budget”, sarà disponibile entro la fine di Marzo: una concezione e gestione del business fondate sull’analisi e la condivisione delle informazioni, che verranno processate da strumenti semplici ma allo stesso tempo funzionali, per supportare le scelte quotidiane che ogni impresa è vocata a compiere. Questo è il cambiamento che cercheremo di supportare, auspicando che gli imprenditori pressati da una difficile situazione economica ritrovino il piacere e la passione nel loro lavoro.

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