Fino al decennio trascorso, il margine di errore consentito a un aspirante imprenditore poteva essere più ampio; oggi però, l’attuale scenario economico e l’estrema competitività dei mercati non permettono di sbagliare. Considerato che in Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, le PMI sono più che la maggioranza e che a causa delle dimensioni del loro bilancio non possono sostenere proibitivi costi di analisi e progettazione del business, diventa comprensibile il tasso di mortalità delle nuove imprese. Inutile sottolineare l’impatto di questi fallimenti imprenditoriali sull’occupazione e sul PIL; tanto più che si assiste alla nascita di aziende di dimensioni contenute, mentre a chiudere, oltre a quelle piccole, sono grandi aziende storiche che incidono pesantemente in negativo sul bilancio occupazionale. È un’evidenza ormai per tutti che il tasso di disoccupazione stia crescendo in maniera preoccupante, aggravando ulteriormente la depressione dei consumi.
La congiuntura economica negativa e l’ostile mercato del lavoro hanno precluso ai più l’opportunità di un nuovo impiego come lavoratori dipendenti; nel nostro Paese, infatti, molte persone hanno aperto un‘attività in questi anni di crisi, non perché in possesso di una spiccata vocazione imprenditoriale, ma in ragione della necessità di costruirsi un qualche futuro occupazionale. In Sicilia, per citare la nostra regione, i fuoriusciti dalle aziende, piccole o grandi che fossero, hanno riscontrato che la possibilità di trovare lavoro era prossima allo zero. L’agricoltura, in controtendenza, nel sud Italia ha registrato nel 2012 un incremento dell’occupazione del 3,5%; mentre i dati nazionali, sempre nel settore dell’agricoltura, indicano un incremento record di lavoratori dipendenti (+10,1%) e in misura più contenuta di quelli indipendenti (+2,9%). (Fonte: Indagine della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al secondo trimestre del 2012). Ma non basta la volontà e un pezzo di terra o una buona idea e una dose di coraggio per aprire un’impresa. Se entro i primi cinque anni di vita circa il 50% delle aziende muore (vedi Tab.3 del precedente articolo) per mancanza di credito, per un fisco troppo esoso e per una burocrazia ottusa e opprimente, c‘è il rischio che per la maggior parte di questi figli della difficoltà economica che stiamo vivendo il successo sia un miraggio. Proviamo ora a identificare le principali cause della mancata crescita e sopravvivenza delle aziende in Italia: costo del lavoro, dei trasporti, bollette dell’energia in costante aumento, pressione fiscale insostenibile, contrazione della domanda primaria e mancanza di credito per finanziare la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti, possono condurre alla morte qualsiasi tipo di azienda, anche quelle più solide. Quelle appena elencate sono le cause note delle quali si sente discutere anche al bar; ma quello che non si sa o che non si dice, è che troppe aziende muoiono poco dopo la nascita per una insufficiente o cattiva progettazione del business e, purtroppo, anche molte di quelle esistenti non sono riuscite a tenere il passo con l’evoluzione dei mercati a causa di una scarsa pianificazione. Esiste un rapporto di proporzionalità diretta tra la penetrazione delle metodiche di marketing nella prassi aziendale e le probabilità di consolidamento e crescita di un’impresa; rapporto di proporzionalità che diventa problematico se riferito alla dimensioni dell’azienda. Anche un “giornalista sportivo” ne inferirebbe che l’Italia è nei guai, considerato che oltre il novanta percento delle nostre imprese sono di micro-piccole-medie dimensioni…
Investimenti in progettazione, analisi e pianificazione, riassunti con il termine più pratico ma spesso millantato di Business Planning, sono l’unica scelta valida per non navigare alla cieca nei mercati. Una corretta analisi preliminare di fattibilità e un’attenta pianificazione sono metodiche che, a conti fatti, consentono di far risparmiare all’imprenditore investimenti sbagliati. I costi necessari a una buona pianificazione, infatti, sono cifre trascurabili da un punto di vista economico se confrontati con i capitali sprecati in un progetto imprenditoriale non decollato o schiantatosi miseramente al suolo dopo una breve planata. Una valutazione della domanda e della quota di mercato relativa che si vuole ottenere, per esempio, consente d’individuare la progressività degli investimenti e definire l’acquisto di mezzi produttivi adeguati ai volumi di prodotto che saremo ragionevolmente in grado di vendere. Definire lo scenario di riferimento, il posizionamento strategico e calcolare i tempi di risposta del mercato, consente una buona approssimazione delle previsioni di vendita e una migliore gestione della liquidità: esercizio indispensabile per limitare l’indebitamento dell’impresa e conseguenti oneri finanziari.
Due casi su cui riflettere
Potremmo asserire che tutti fanno marketing, più o meno consapevolmente; perché marketing è capire la realtà, scoprire il sistema di relazioni che esistono tra la propria azienda e il mercato; significa posizionarsi rispetto ai concorrenti in modo tale da ottenere un vantaggio competitivo. Non vogliamo essere fraintesi e per questo anticipiamo le opposizioni di detrattori e scettici dicendo che il marketing non è di per sé una formula magica e non fornisce un’assoluta garanzia di successo; è certo però che una buona strategia di marketing ottimizza la performance aziendale, pianifica le azioni future e consente di correggere in tempo gli errori compiuti. Il marketing, quindi, è qualcosa di troppo importante per essere lasciato all’intuizione e al caso.
Che la pianificazione di marketing sia un esercizio imprescindibile e continuativo per una corretta e attenta gestione delle imprese è dimostrato dal caso Mivar.
Carlo Vichi inizia la sua attività imprenditoriale nel 1945 fondando la Mivar (Milano Vichi Apparecchi Radio) con l’obiettivo di costruire componenti per il settore radiotecnico. Nel 1956 estende l’attività alla produzione integrale di apparecchi radio e nel 1959 a quella dei televisori in bianco e nero. Nel 1967 vengono studiati e costruiti i primi televisori a colori. In dieci anni quantità prodotte e vendite triplicano. Un’azienda che è stata il primo marchio italiano nella produzione di Tv e che copriva un terzo del mercato nazionale era certamente in ottima salute. Eppure la Mivar è uscita di scena. L’errore? Non aver saputo cogliere i cambiamenti del ciclo di vita del suo prodotto di punta, i futuri sviluppi nell’area della tecnologia digitale e le opportunità di sviluppo degli schermi LCD. L’errore è nato dal voler perseguire ostinatamente le proprie opinioni senza tenere conto del cambiamento degli stili di vita e delle abitudini d’acquisto delle persone; infatti, il mercato e i consumatori richiedono alle imprese produttrici uno sforzo di innovazione, o almeno di “inseguimento”, per riuscire a mantenere le proprie quote di mercato. Un’attenta pianificazione e analisi di mercato avrebbe descritto puntualmente e con anticipo questo scenario, permettendo all’azienda di riconvertirsi tecnologicamente o di dismettere la produzione evitando cassa integrazione, licenziamenti ed emorragie finanziarie così come accaduto.
Dopo il caso di un’azienda morta, per aver sostanzialmente sottovalutato il marketing, riflettiamo sulla storia di Maurizio Spinello, un imprenditore che dall’organizzazione e dalla pianificazione di marketing potrebbe trarne il percorso utile ad una solida e redditizia crescita.
Maurizio Spinello è un giovane panificatore siciliano. A rendere speciale questo piccolo e fino a ieri anonimo imprenditore, è il fatto, riconosciuto dal premio Best in Sicily (assegnato dal portale Cronache di Gusto alle eccellenze siciliane), che Maurizio produce il miglior pane dell’isola. La sua storia è degna delle migliori favole: la scelta, contro tutto e tutti, di non lasciare il borgo di undici abitanti, la decisione di aprire il laboratorio nella sua casa sperduta tra le campagne della provincia di Caltanissetta, e, dopo anni di impegno, sacrifici e passione, capire di avercela fatta! Il prodotto, che ha anche ottenuto la certificazione dell’Aiab(l’Associazione Italiana di Agricoltura Biologica), è semplice: farina, acqua, sale, “crescente” e fuoco, ad essere straordinaria è invece l’attenzione alla qualità di tutte le materie prime e ai processi produttivi. Maurizio infatti usa esclusivamente grani antichi siciliani ottenuti da una molitura a pietra a freddo, alimenta il forno con legna di mandorlo e di ulivo, lavora l’impasto con la “crescente”, la pasta madre che sostituisce il lievito di birra e che garantisce una freschezza molto più duratura al prodotto. Questo pane dalla qualità eccezionale era prima distribuito ai supermercati e alle botteghe dei paesi del circondario: una produzione di 250 chili al giorno venduta a un prezzo basso; adesso invece, la produzione è diminuita di circa un quintale e Maurizio vende il proprio pane a mercati più qualificati ad un costo maggiore.
Ma se domani il nostro imprenditore volesse far gustare a tutti i siciliani il suo pane, rimanendo però fedele alla filosofia e alla qualità del suo prodotto, cosa dovrebbe fare? Per organizzare produzione e distribuzione, occorrerebbe integrare nelle sue attività imprenditoriali la pianificazione di marketing: unico percorso che gli consentirebbe di mantenere inalterate le eccezionali qualità del suo prodotto, aumentandone nel contempo i volumi, nell’alveo di una forte identità aziendale che gli permetterebbe di crescere e passare indenne attraverso le alterne fortune congiunturali. Ecco che il marketing si sostanzia come una disciplina capace di creare valore -non solo economico- tanto per chi produce quanto per chi acquista. Oggi forse, complice la crisi, si è arrivati alla consapevolezza che le nuove imprese non sono solo una moda ma una necessità per il nostro Paese, e questo ha portato anche ad interventi normativi che, per quanto discutibili testimoniano perlomeno un’inedita sensibilità verso quel potenziale imprenditoriale che c’invidia tutto il mondo. Peccato che, prima di verificare l’efficacia di questi provvedimenti a favore delle startup, il legislatore si sia preoccupato di fare cassa con i contributi previdenziali, invece di defiscalizzare totalmente almeno i primi due anni di esercizio. Il 2013 sarà un anno in cui la ripresa avrà probabilmente inizio: i settori dell’ICT, energia e ambiente, agroalimentare d’eccellenza e turismo sono i più promettenti. Ma fare impresa non è un gioco: pensare di improvvisarsi, basandosi solo su un’idea concepita durante una notte insonne e movimentata da un insopportabile diverticolite, significa affidarsi all’organo sbagliato. Sicuramente le prime domande che è necessario porsi sono: la mia idea soddisfa un bisogno dei consumatori? può competere sul mercato? A questo punto, occorre fare quello che non si fa quasi mai: chiedere al marketing; perché un’altra cosa che non si dice o non si sa è che il marketing fa parte di quelle scienze economiche mai entrate pienamente nel tessuto culturale delle imprese italiane, che potremmo, soprattutto al Sud, definire marketing deficienti. Per fortuna anche grazie a Internet, che rende più semplice e veloce l’accesso alle informazioni e la loro condivisione, i servizi di marketing, tanto a livello strategico quanto operativo, non sono più esclusiva delle grandi aziende e appannaggio di pochi manager, ma sono sostenibili economicamente e concettualmente anche alle aziende di piccole e medie dimensioni. I benefici e il valore aggiunto che gli interventi di marketing assicurano sono molteplici: interpretare il cambiamento dei mercati e degli scenari competitivi, definire un efficace posizionamento di mercato, tentare con ottime prospettive l’opportunità dell’internazionalizzazione, vendere in tutto il mondo attraverso l’e-commerce a costi contenuti, pianificare la produzione, il lancio e la commercializzazione di un nuovo prodotto, e molto altro…
Oltre a un più aperto accesso al credito e alla semplificazione burocratica, occupazionale e fiscale, quello che occorre alle aziende italiane per crescere è dunque una vera cultura di marketing. In sinergia alla ripresa dei consumi, a maggiori finanziamenti per gli investimenti in ricerca, al sostegno delle esportazioni e all’individuazione di nuovi percorsi di aggregazione delle micro e piccole imprese, le leve che potranno consentire una ripresa per le aziende italiane sono da individuare nell’investimento in studi di marketing, nella banda larga, nell’apertura alle ICT e ai nuovi strumenti di organizzazione telematica del lavoro.