Nel precedente articolo, Dario Valentino si è soffermato sull’evoluzione del percorso di formazione del prezzo di beni e servizi: determinato un tempo da logiche unicamente economiche, oggi è condizionato dalle politiche di marketing che tengono conto di vari fattori, come il ciclo di vita del prodotto e la concorrenza.
Tale spunto sui prezzi, i costi e i valori di mercato è valso da incipit per una riflessione in merito a una dinamica di strettissima attualità che ci coinvolge come consumatori e come cittadini: la cosiddetta deflazione, ovvero la tendenza dei prezzi al consumo che continuano a scendere

Alcuni, viste le ristrettezze economiche in cui versano, considerano un bene il fenomeno della diminuzione del livello generale dei prezzi; altri ritengono sia un segnale allarmante. Proviamo a fare chiarezza e qualche considerazione in merito.

imagesOggi una donna che va al mercato (ricordiamo che le donne rivestono il ruolo di “responsabili d’acquisto” per il nucleo familiare nel numero maggiore dei casi) può comprare un maglione o un paio di pantaloni anche a cinque euro. A coloro che istintivamente sono portati ad esclamare: Per fortuna! consiglio cautela, perché ciò che può sembrare positivo per il portafogli del singolo non è un segnale felice per l’economia nella sua interezza.
La deflazione, infatti, senza soffermarmi sul tecnico più del necessario poiché non è obiettivo di questo articolo, è il contrario dell’inflazione che indica l’aumento dei prezzi. Il fenomeno della deflazione deriva dalla debolezza della Domanda aggregata di beni e servizi; essa è indice di un calo dei consumi delle famiglie che sono incentivate a posporre gli acquisti non indispensabili (con l’aspettativa di ulteriori cali dei prezzi) o che semplicemente spendono meno perché hanno meno soldi. La deflazione coinvolge anche le imprese, le quali pur di vendere i propri prodotti abbassano i prezzi; la riduzione dei prezzi si ripercuote conseguentemente sui ricavi, anch’essi generalmente in calo: tagliando i costi di produzione e riducendo il personale la conseguenza attesa è una qualità inferiore dei beni e un maggiore disoccupazione. Ci avevate mai pensato?
La deflazione, in estrema sintesi, è un freno nella spesa di consumatori e aziende e se il fenomeno continua, protraendosi nel tempo, le conseguenze possono essere gravi soprattutto in un Paese come l’Italia che da anni cresce poco e assai lentamente.

Deflazione: la spirale del declino

La spirale della deflazione (fonte: Panorama.it – grafico a cura di Pierluigi Tolot)

Al di là dei processi macroeconomici, da tenere comunque in considerazione, per molti Italiani risparmiare, ridurre e ponderare gli acquisti, attendere il ribasso dei prezzi, più che una scelta è diventata una necessità.
Da qui una domanda fiorisce all’interno del mio campo di riflessione: possiamo o sappiamo vivere bene con un tenore di vita più basso?
In teoria no. Dotiamoci di molta onestà intellettuale, chi vorrebbe o saprebbe rinunciare alle comodità cui è abituato? Solo tre generazioni fa non esisteva (o non tutti possedevano) i più comuni elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi, televisori; per non parlare di computer o smartphone, parte della “normalità” solo da qualche anno. Oggi, che siamo abituati a tutto questo, sapremmo realmente farne a meno? La decrescita felice (una teoria economica secondo cui si sta meglio consumando meno) sembra impraticabile.
Però, se è vero che non vogliamo rinunciare al benessere che abbiamo conquistato, possiamo certamente spendere meglio e specializzarci in quello che si chiama consumo critico o consapevole, l’opposto del consumo compulsivo: patologia assai diffusa…
Inoltre, complice la crisi economica, pare essere tornata in auge la vecchia pratica economica della permuta di beni e servizi o prestazioni professionali, il baratto insomma. A supportare la diffusione del baratto c’è ovviamente Internet: la tecnologia ci aiuta quotidianamente permettendo la comparazione dei prezzi e la messa in rete di oggetti usati pronti a una seconda vita in negozi virtuali ma frequentatissimi ed efficienti.

A termine dell’articolo condivido un ultimo quesito che è il seguente: in questi anni ci sentiamo tutti più poveri ma quando possiamo realmente definirci ricchi o poveri?

crisi-e-povertàL’Istat ci dice che una famiglia italiana guadagna mediamente 1.700 euro al mese e che, tecnicamente, il discrimine per parlare di povertà è la soglia degli 800 euro mensili per nucleo familiare. Come il buon senso suggerisce, le statistiche sono relative: le condizioni reali degli Italiani cambiano al mutare di molti, semplici fattori (ad esempio se si vive in città o in piccoli centri, al Nord piuttosto che al Sud; se si ha una casa di proprietà o si è in affitto; se si possiede un fazzoletto di terra dove coltivare il proprio orto per abbassare l’incidenza della spesa sul budget alimentare, etc.) ma l’Italia è purtroppo ferma: l’economia non cresce e la crisi sta cambiando il nostro rapporto con il denaro.
Qui trovate alcuni dati sulla deflazione di gennaio 2015 diramati appunto dall’Istat.

Vi lascio con la frase di un lucidissimo “amico”…

Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media. Charles Bukowski